Il ricordo più chiaro della mia giovinezza riguarda proprio l’inizio della guerra nel 1940. L’ho considerato la fine della mia infanzia perché sapevo che la guerra non avrebbe portato nulla di buono.
La mia famiglia ha sofferto molto perché il cibo era poco mentre le lire erano ancora meno, e per tirare avanti mio fratello e mio padre sono passati da falegnami ad aggiusta-tutto (porte, finestre, serrature, ecc.) ma la fame regnava sovrana. Chi stava meglio erano quelli che avevano campi e stalle. Noi avevamo una pecora e alcune galline e, nonostante avessimo lo stomaco che brontolava, i piedi erano al caldo.
La prima volta che suonò la campana che avvertiva dei bombardamenti corremmo a nasconderci tutti sotto il tavolo in cucina e dopo aver sentito quella di fine pericolo, ci contammo rendendoci conto che ne mancava uno: avevamo dimenticato mia sorella a letto per la fretta! Maria, che aveva circa 7 anni, continuava a dormire beata.
Un altro fatto curioso che resterà sempre impresso nella mia memoria è di un’altra incursione aerea: era una delle prime da quando avevano costruito nel mio paese il “rifugio”. Eravamo stipati in una baracca di argilla in cui pioveva dentro e le persone tenevano stretti i loro risparmi e gli ori in attesa della fine del bombardamento. Tutti. Tutti tranne uno. Questo mio compaesano Armando era uno di quelli che si vestono sempre bene; colto alla sprovvista dalla campana aveva afferrato la prima cosa che riteneva utile ed era corso al riparo: erano le cravatte. Questa è stata una barzelletta per tutto il paese per molto tempo ed ancora oggi ricordo chiaramente e lo racconto con il sorriso.
Tutte queste vicende buffe ci alleviavano dalle persistenti preoccupazioni che la guerra portava e mi hanno aiutato ad andare avanti in quel triste periodo della nostra storia.
Melodia di Celso, settembre 2013
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di Osiride Brovedani
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