Rimarrà perenne nella mia memoria il ricordo del pomeriggio del 5 maggio. Verso le 15, vestito della casacca grigio-azzurra del deportato, mi recai dal Campo 83 a Wietzendorf. Feci tre chilometri di strada per giungere al villaggio che era deserto.
Arrivai nella piazza principale del paese. La chiesa protestante era chiusa. Sotto un portico incontrai due tenenti italiani. Poi venne un prigioniero di guerra montenegrino, il quale mi offerse un bel cappotto da soldato inglese ed un berretto dell’esercito
jugoslavo. Mi tolsi la casacca rigata di cotone e mai provai una soddisfazione pari a quella d’indossare quel cappotto di lana che mi proteggeva dal freddo e dall’acqua. Avevo finalmente acquistato la certezza d’essere definitivamente libero e di poter girare per la Germania senza essere arrestato.

Festeggiamo la Pasqua con il finale del diario della prigionia “Da Buchenwald a Belsen” quando il deportato n. 73630 toglie la famigerata casacca a righe per indossare un cappotto e avere con esso restituita la sua identità, tornando ad essere Osiride Brovedani.