Nel museo dedicato al “Signor Fissan”, l’imprenditore che faceva del bene – di Andrea Pierini

La storia di Osiride Brovedani, il signor Fissan, raccontata attraverso le stanze del museo, troppo poco conosciuto, che si trova Trieste, all’incrocio tra le vie Alberti e San Marco, dov’è racchiuso la vita del benefattore che prima di costruire un impero ha conosciuto anche i drammi dell’olocausto.

I lettori della community de Il piccolo potranno scoprire la storia di Brovedani grazie a due appuntamenti per 25 lettori il 26 maggio e altrettanti il primo giugno (dalle 10:30 alle 12), organizzati in collaborazione con la fondazione nata per volontà della moglie Fernanda.

la vita

Osiride Brovedani nacque a Trieste l’11 febbraio 1893 da Giovanni, impiegato dell’ufficio esattoriale comunale, e dalla casalinga Noemi. Aveva due sorelle, Aristea e Armida. Si impegnò a fondo negli studi fino alla seconda liceo scientifico, quando fu costretto ad interromperli per aiutare il padre che non riusciva più a sostenere la famiglia. Iniziò a lavorare al quotidiano Il piccolo come tuttofare facendo poi carriera e passando dalla correzione delle bozze a ricoprire il ruolo di critico d’arte per poi andare al giornale Il lavoratore ancora come correttore di bozze. Nel 1930 la svolta: l’incontro in una fiera con il dottor Sauer, che commercializzava la sua invenzione: la prima versione di quella che sarebbe diventata la Pasta di Fissan. Il prodotto serviva per sanare le screpolature: Brovedani riuscì ad averne l’esclusiva avviando la produzione nello scantinato della casa di San Giacomo in via Alberti 6, oggi sede di fondazione e museo.

la deportazione

La mamma di Brovedani era di origine ebraica: per questo la famiglia conobbe nel 1944 l’incubo del nazismo, con l’arresto di Osiride, la detenzione nel Coroneo perché accusato di ascoltare Radio Londra. Il signor Fissan scoprì la follia dei campi di concentramento di Auschwitz, Belsen, Buchenwald raccontata nelle stanze del museo. Durante l’internamento, scrisse un diario che malgrado le pressioni del suo compagno di prigionia, il noto scrittore Giovannino Guareschi, non volle mai pubblicare. Dopo la sua morte il manoscritto venne stampato dalla Fissan per onorarne la memoria: in 30000 copie, venne distribuito a tutti i farmacisti d’Italia e a molti medici. La seconda edizione, di ulteriore 30000 copie, è stata poi pubblicata a cura della Fondazione Brovedani. “Alle 6 del mattino-si legge nel diario-dopo un viaggio durato 3 giorni, vennero aperti gli sportelli del carro ferroviario ci fecero scendere. Ci attendeva mezza dozzina di uomini delle SS comandate da un brutto ceffo con un randello in mano”. Brovedani aveva il numero di prigionia 76360: “L’organizzazione nazista voleva così imprimere un marchio ben distinguibile ai deportati politici e livellarli a un tipo standardizzato di uomini privi di libertà e di ogni diritto”.

Al museo poi si può scoprire il viaggio di ritorno verso Trieste una vera odissea lungo tutta l’Europa.

il dopoguerra

Quando tornò in città, Brovedani riprese la sua attività con la Fissan, la crema che grazie l’albumina del latte riusciva a “fissare” le ferite. La sua unica debolezza era la passione per la montagna e nonostante il benessere si era “concesso” una casa a Camporosso, nel tarvisiano, dov’è oggi c’è la sua tomba. Scomparso il 2 luglio 1970, Brovedani era sempre pronto ad aiutare chi si trovava in difficoltà, anche se invece di contanti preferiva offrire lavoro: sebbene ogni tanto-attraverso Raffaele De Riù, attuale Presidente della Fondazione e storico collaboratore-facesse recapitare una busta a chi ne aveva veramente bisogno.

La fondazione nacque nel 1973 per volontà testamentaria della signora Fernanda Brovedani, la moglie di Osiride, che realizzò così il desiderio espresso in vita dal marito di dare un’istruzione ai ragazzi che provenivano da famiglie disagiate. Venne anche costruito il convitto in cui si offriva gratuitamente o con gli accoglienza ragazzi orfano di famiglia in difficoltà. Oggi nella struttura di Gradisca d’Isonzo è stata creata una Casa Albergo dedicata agli anziani di età superiore ai 66 anni, autosufficienti con un reddito che non garantisca una completa situazione di benessere e di autosufficienza.