Chi se le ricorda le vecchie rubriche telefoniche?

Quelle che stazionavano sul tavolino accanto al telefono, in cui segnavamo i numeri meno usati, perché quelli dei parenti stretti ed amici vicini ce li ricordavamo a memoria. Ė un’abitudine che è andata persa, vuoi perché ora i numeri di telefono hanno dieci cifre, vuoi perché li memorizziamo nel cellulare non curandocene più dopo l’inserimento. Ma che dramma quando lo smartphone si rompe e non abbiamo un backup dei contatti!
Anche un oggetto semplice come una vecchia rubrica telefonica caratterizza la narrativa di una persona. Intanto perché ha il sapore di altri tempi, quel profumo nostalgico che illanguidisce l’animo. E poi perché – oggi più che mai – gli oggetti ci definiscono, contribuiscono alla formazione della nostra identità sociale e individuale. Tutti gli oggetti.
La rubrica telefonica di Osiride Brovedani, ancora una volta, racconta la semplicità di quest’uomo, il suo non riconoscersi negli oggetti di lusso come caratteri distintivi che lo distinguessero dagli altri e lo identificassero come appartenente a una classe superiore: era semplicemente il regalo che, in un Natale degli anni ’60, tutti i dipendenti Fissan avevano ricevuto. Solo, la sua era impreziosita da un ricamo a punto croce fatto a mano dalla mamma di Raffaele De Riù, allora suo consulente finanziario ed amico. Per ricordare che siamo ciò che siamo, non ciò che abbiamo.
I numeri dei contatti erano a 4 cifre, non c’era il prefisso per le chiamate urbane, (introdotto nel 1998), decisamente più facile e rapido, considerando che nei vecchi telefoni bisognava girare la rotella e attendere che tornasse indietro!