Ogni giorno, soprattutto nei momenti emotivamente più impegnativi, dobbiamo ricordare l’importanza di avere un nostro rifugio, uno spazio privato in cui ritirarci quando ne sentiamo il bisogno, una tana individuale in cui ristorarci, come i bambini che creano mondi sotto ad un tavolo.
In psicologia, questo è uno dei primi strumenti che viene condiviso (si parla soprattutto di un rifugio interiore, citando sant’Agostino: Non uscire fuori di te, rientra in te stesso; la verità sta nell’intimo dell’anima umana).
Osiride Brovedani cita questo “spazio sacro” nel suo diario della prigionia:
Ciascuno di questi deportati
ha avuto la sua casa, la moglie, i figli.
Ricorderà il cantuccio dove soleva
riposare, il suo letto soffice e caldo.
Lo possiamo immaginare nelle fatiche della deportazione, durante la fame il freddo, ritemprarsi il morale ripensando a casa, alla sua casa a Trieste, trovando sollievo nei ricordi e immaginando un futuro rientro tra le pareti domestiche.
Per questo motivo abbiamo ricreato il suo cantuccio al museo: è il primo spazio in cui il visitatore incontra il signor Fissan e da cui partono le visite guidate. E’ lo spazio che permette di conoscere l’uomo prima che l’imprenditore, circondato dei suoi oggetti personali che lo descrivono subito come un uomo semplice, che sceglieva poche utili cose di cui aveva gran cura: gli oggetti esposti hanno 70 anni e più, e non dimostrano per nulla i segni del tempo.
Sulla destra, i dizionari di tedesco – italiano, commentati con la sua minuscola ed elegante scrittura, utili per comunicare con la casa madre della Fissan a Zwingenberg.
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