Mi chiamo Maria, ma il mio nome in fiammingo è Godelive, che significa amata da Dio. Sono nata a Brugge in Belgio, ma sono sempre vissuta ad Anversa. Del periodo in Belgio, dove ho trascorso l’infanzia racconto volentieri alcuni particolari, che mi ritornano in mente. Il mese di luglio lo trascorrevo al mare con mamma Maria e le sorelle: Annamaria, Rita, Jo, Dominique ed Emmanuel mio fratello. Eravamo ospitati nella casa dei nonni situata a Coq sur mer (letteralmente significa gallo sul mare), tra Ostenda e Blankenberge, mentre il papà rimaneva a lavorare in città. Un gioco tipico che facevamo era quello di scavare una buca profonda quasi quanto noi per poi circondarla con un muretto merlato che ornavamo con le conchiglie più belle e dei fiori colorati fatti di carta crespata. Ogni giorno ne dovevamo costruire uno nuovo perché il vento che soffiava sempre forte distruggeva quello del giorno precedente. La buca, nella nostra fantasia di gioco, diventava ora parte di una pista per biglie, ora il nostro tunnel rifugio. Usavamo il “baratto” scambiandoci conchiglie e fiori di carta. Poiché il vento soffiava costantemente i bagnini stendevano un telo bianco e blu, lungo decine di metri e alto un po’ meno di una persona, allineandovi a ridosso le sedie a sdraio. Alla fine dell’estate eravamo abbronzatissimi, anche perché il vento faceva virare il colore della pelle verso il nero, esaltando il bianco dei nostri occhi. Il mese successivo partivo con le guide Scout per il campeggio. Si andava in Vallonia, una zona collinare delle Ardenne. Sistemavamo il sacco a pelo sulla paglia in un grande capannone, che ospitava circa quaranta persone. Per cucinare la nostra pattuglia doveva prima costruire la cucina con corde e legni. Mi stupiva come ogni volta riuscissimo ad accendere il fuoco per cucinare il nostro pranzo: pasta o minestrone e carne, che non sempre risultava ben cotta. Un anno scelsero come luogo di campeggio una zona molto piovosa, per cui anche se al mattino ci alzavamo con il sole, immancabilmente a pranzo finiva per piovere e così la pastasciutta diventava … bagnata! Durante l’anno all’improvviso compariva in casa l’olio di fegato di merluzzo purissimo, acquistato in quantità industriale, che la mamma ci somministrava come ricostituente. Ci mettevamo tutti e sei in riga e con il naso tappato e lo stomaco in subbuglio passavamo a prendere la nostra razione. Oggi l’olio di fegato di merluzzo è confezionato in perline per mascherare l’odore e il sapore nauseabondi. Nonostante non mi sia mai piaciuto penso però che alla fine mi abbia fatto un gran bene!
Melodia di Maria, ottobre 2012
Museo Casa
di Osiride Brovedani
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